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26 nov 2009

Acqua.

L'acqua.
Quante volte a
bbiamo sentito dire a scuola che la vita ha avuto inizio in acqua? e quante volte alla televisione abbiamo sentito parlare della NASA che cerca acqua sulla luna o su marte? quante volte dopo una partita a calcio sotto il sole estivo o dopo un lavoro pesante ci siamo sentiti "morire" di sete?


Se ripenso al
mio (seppur breve) gironzolare per l'Africa uno degli argomenti che mi hanno fatto costantemente riflettere è stato quello dell'acqua e tutt'ora qui, in Sudan, specialmente nel campo di Mayo, si ripropone ogni giorno.
Non importa che sia Kenya, Tanzania, Uganda, Rwanda o Sudan...perchè di qualunque posto si parli ecco che alla mente tornano uomini, donne o bambini (di qualunque età), secchi, barili, contenitori di ogni genere, laghi più o meno grandi, pozzi e pozzanghere, fiumi, km e km, asini, carretti, spalle allenate a portare pesi, teste cariche, lunghe attese...

Ricordo Otati, in K
enya. Un bellissimo mercato pieno di vita, un punto di incontro per la gente delle colline attorno, un posto magnifico a metà tra il verde della vegetazione e il blu del cielo. Un posto che noi, nella stagione secca, partendo dalla riva del lago Vittoria, abbiamo raggiunto in un'oretta (o forse qualcosa di più?) col LandCruiser. Ed è stato inevitabile da lassù pensare a cosa voglia dire in termini di fatica e di sacrificio dover procurarsi dell'acqua per poter (soprav)vivere lassù. E non si parla ovviamente di docce o chissà che altro, ma solamente di bere, far da mangiare e garantirsi un minimo di igiene personale. Tutto questo significano ore con un asino e due piccoli barili da 40 litri legati sulla schiena, un sentiero o una strada sterrata. E in certi mesi dell'anno significa anche dover camminare nel fango che si attacca ai piedi rendendoli pesantissimi da sollevare o che fa sprofondare fino alle caviglie.

Ricordo grosse poz
zanghere marroni lungo il bordo della strada e decine di persone intente a lavare vestiti o qualunque altra cosa, riempire secchi e bottiglie, farci il bagno con un pezzo di sapone preso al mercato.

Ricordo il grosso contr
asto della vegetazione sulla stricia intorno al Nilo che improvvisamente diventa solo sabbia, sassi e qualche piccolo arbusto.

Ricordo il pozzo di Naga, nel deserto sulla st
rada di ritorno da Merowe. Un buco nella sabbia, nero, senza fine, chiuso da un coperchio di lamiera. Niente a che vedere coi pozzi che possiamo immaginarci noi, quelli delle corti rinascimentali o quelli dei desideri. Nessuna "carrucola a gemere come una banderuola dopo che il vento ha dormito a lungo". Sopra l'apertura solo un tronco di legno segnato da profonde cicatrici, ricordo dello scorrere delle corde tirate dagli asini. Un posto stano, surreale, ma che trasudava fascino e importanza.

Ricordo un'altro pozz
o in Kenya, ma non ricordo il nome. Due o tre semplici rubinetti che escono dalla terra e attorno decine di persone in ordinata attesa con i loro contenitori gialli da 20 litri e tanta, tanta pazienza.

Ricordo le rive del Lago Vittoria e il fiume di persone che ogni giorno, mattina e sera, va e poi viene. E poi va e poi viene. E poi va e poi viene. Giorno dopo giorno. Per una vita. E il lago diventa il posto dove farsi il bagno, lavare i vestiti e le pentole e i figli piccoli, far bere mucche, asini e maiali, recuperare l'acqua per bere e cucinare, e vattelapesca cos'altro ancora.

E ora tutti giorni
andando verso la clinica passo di fronte a due pozzi appena fuori il campo profughi e assisto al viavai di carretti costruiti con un semplice barile di metallo, due ruote, un asino e un "autista". Delle improvvisate autocisterne che si riforniscono ai pozzi e portano l'acqua in tutto il campo profughi. Per quanto ne sappia io (tutto quelloche abbiamo a disposizione è una mappa disegnata a mano da un Health Promoter che vive nel campo) i pozzi sono una ventina e le persone che dipendono da quei pozzi si stima siano dalle 300 alle 500 mila. In teoria l'acqua è gratis, è un bene comune e non è giusto che appartenga a qualcuno. Ma dato che sono pochi quelli che hanno la possibilità di andare direttamente al pozzo diventa necessario dover pagare il trasporto.
Qui nel campo l'acqua (perchè alla fine è comunque l'acqua che si compra) si paga cara. Per 2 taniche da 20 litri normalmente ci vogliono 2,5 SDG (pound sudanesi), ovvero circa 70 centesimi di Euro. Ma nella stagione delle pioggie, quando tutto diventa fango e gli spostamenti quasi impossibili, il prezzo raddoppia.

Però ogni giorno qua in Sudan vedo anche una cosa bellissima. Fuori da quasi tutte le case che si affacciano sulla strada ci sono delle otri di terracotta, tenute all'ombra e spesso chiuse con un coperchio. E ogni giorno il proprietario si occupa di non far mancare mai l'acqua. Chiunque per strada ha il diritto di attingere a quest'acqua fresca per potersi dissetare.
Perchè l'acqua dovrebbe essere un diritto. Per tutti.

... ... ... ... ... ...

Il nuovo libro di PeaceReporter sul rapporto tra conflitti e sfruttamento delle risorse esce mentre in Italia si privatizza l'acqua

Guerra alla terra prova a raccontare alcuni esempi del distorto rapporto tra uomo e natura nel mondo. Afghanistan, Delta del Niger, Territori Occupati palestinesi, Bolivia, cosa hanno in comune? Sono alcuni dei luoghi in cui la fame di ricchezza dei potenti della terra sta utilizzando lo strumento della guerra per appropriarsi delle risorse e del territorio in modo indiscriminato e selvaggio.

E mentre esce il libro, nel nostro paese si imbocca la strada della privatizzazione dell'acqua. Un bene che non può avere padroni, esattamente come l'aria. Un bene essenziale, che deve essere di tutti, cioé pubblico.

Ma la scelleratezza dei nostri politici evidentemente non ha limiti e non ha pudore, e sceglie di svendere il bene collettivo più prezioso ben sapendo che è proprio sull'acqua che si stanno giocando le mosse della geopolitica internazionale, e che il controllo di questa risorsa sarà sempre più al centro degli interessi dei potenti del mondo - che sono i ricchi e non i governanti - e quindi dei conflitti mondiali.

Sulla privatizzazione delle acque, e sul movimento per mantenerle pubbliche costruito dalla società civile in molti Paesi lo scontro con i governi è stato durissimo, e spesso, per fortuna, è stato vinto dal popolo.

In Italia ci sono state esperienze importanti contro la privatizzazione dell'acqua, e anche nel nostro paese spesso la ragione e il buonsenso hanno prevalso sull'ingordigia.

Ma oggi il gioco si fa pesante: non è più un Comune più o meno grande che sceglie di sottrarre ai suoi cittadini di che dissetarsi. Oggi è il Governo a provare a fare l'interesse di qualche grande compagnia invece che quello dei suoi elettori e in generale degli italiani.

Qualcuno sull'acqua è riuscito a camminare, ma spesso con l'acqua si scivola. E se si cade sull'acqua, a differenza di quanto si possa immaginare, ci si può far male.
Speriamo che l'Italia segua l'esempio della Bolivia.

E, per una volta, chiediamo ai nostri lettori di attivarsi contro quello che è il peggiore furto ai danni della collettività. Privare la gente del diritto all'acqua è davvero una scelta criminale, a cui ci di deve opporre con ogni mezzo lecito.

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Maso Notarianni (da Peacereportr.net)

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