Non c'è bisogno di scomodare Saddam Hussein per definirla "la madre di tutti gli spareggi", la partita delle partite. Se a contendersi - stasera a Khartoum - il passaporto per il mondiale di calcio in Sudafrica sono Egitto e Algeria, i toni forti, le metafore da campo di battaglia, ci stanno tutte. La guerra senza virgolette che nelle ultime ore sta divampando tra le due comunità, non solo ad Algeri e al Cairo ma anche in Europa, con scontri, sassaiole, incendi, caccia al nemico, morti e feriti, fa temere che i novanta minuti di oggi possano deflagrare in un'autentica jihad tra "fratelli coltelli" che non si amano nonostante parlino la stessa lingua, professino la stessa fede e facciano entrambi parte della Lega araba, dell'Organizzazione della conferenza islamica e dell'Unione africana. Quella tra "faraoni" e "verdi" è storia fitta di rancori e dispetti. In politica come in economia. E, ovviamente, nel calcio.
Che già fossero entrambe nello stesso girone di qualificazione aveva creato non pochi allarmi. Ma la Fifa se n'era prontamente lavata le mani con un "non possiamo certo guidare i sorteggi". Vero o falso che sia, si è arrivati a quel maledetto o benedetto - dipende ovviamente dai punti di vista - sabato scorso al Cairo, in cui l'Egitto in pieno extra time, al 93', ha segnato il gol del 2 a 0 che avrebbe pareggiato in tutto e per tutto i conti in classifica con la capolista Algeria. Da qui la necessità di una "bella", di un ulteriore match da disputarsi in campo neutro per stabilire chi tra le due nazionali farà parte del lotto delle 32 formazioni che si contenderanno il Mondiale di football.
Khartoum, dunque. O meglio Omdurman, la città gemella della capitale sudanese sull'altra sponda del Nilo. Il Sudan di ospitare questa partita ne avrebbe volentieri fatto a meno. Khartoum stava bene agli egiziani, ma non agli algerini che avrebbero preferito Tunisi. Ma siccome nei palazzi del calcio il Cairo conta di più di Algeri, s'è fatto come chiedevano i "faraoni". Vigilia infuocata, dunque. Con scontri fisici e invettive. Al Cairo, ad Algeri ma anche nelle banlieues di Parigi e Marsiglia. La federcalcio di Algeri ha accusato quella egiziana di aver fomentato gli attacchi al pullman algerino al Cairo dopo il 2-0, che ha portato all'assalto di rappresaglia contro una filiale delle egiziana Orascom ad Algeri. La stessa filiale ha richiamato in patria i suoi 25 dipendenti egiziani, proprio come si farebbe in vista di un conflitto. Naguib Sawiris, il magnate della Orascom, ha chiesto inascoltato un rinvio della partita. Giornali e televisioni hanno dato il loro peggio con titoli che hanno ancor più incendiato gli animi e scambi incrociati d'accuse su chi abbia dato inizio alle violenze.
Ecco perché la capitale sudanese è in stato d'assedio. I 41mila posti disponibili dello stadio sono stati ridotti a 35mila per motivi di sicurezza. Circa 15mila agenti sono stati messi in campo dalle autorità locali per controllare l'ordine pubblico. Ma sono solo 18 mila i posti riservati alle tifoserie giunte da Egitto e Algeria con 40 voli supplementari dal primo, ed aerei anche militari dal secondo. I restanti spettatori - che fin da domenica hanno fatto la fila per conquistarsi un biglietto - sono anch'essi divisi tra i due campi, tanto che vi sarebbero anche già stati i primi scontri.
Certo è che molti tifosi già giunti in Sudan si sentono con il coltello fra i denti, visto che anche ieri la tensione, invece di diminuire come inutilmente auspicato da più parti, è sembrata aumentare. Quel poco che resta per fortuna sa ancora di sport: bandiere che sventolano e gruppi di tifosi che urlano slogan. Minoranze, però.
Chi la spunterà? Difficile dirlo. Il difensore algerino Bougherra usa toni bellicosi: "In campo neutro, mostreremo loro chi sono i veri uomini". Meno male che almeno il ct egiziano, Hassan Shehata, prova ad abbassare i toni: "È una partita in cui abbiamo il cinquanta per cento delle possibilità. In ogni caso è solo un incontro di calcio non una guerra". Speriamo sia davvero così.
E in questo strano strano paese succede che ci sia bisogno di chiudere per un giorno tutte le scuole della capitale, fermare il lavoro degli uffici pubblici alle 13 e, a quanto pare, dichiarare anche un simil-stato di coprifuoco per uno spareggio di calcio in vista dei mondiali in Sud Africa del 2010. Khartoum da giorni è piena di bandiere algerine, taxi, pulman, balconi, gente per strada. Gli egiziani, vicini di casa, non si mostrano, nonostante in capitale siano una comunità numerosissima, sull'ordine delle decine di migliaia.
La partita ce la siamo guardata in tv, dati i divieti tassativi di muoversi anche solo per andare in un bar (ovviamente per motivi di sicurezza), ma devo dire che sarebbe stato uno spettacolo più unico che raro poter essere allo stadio. E oggi per Khartoum erano ancora le bandiere bianco-verdi dell'Algeria a dominare qualunque strada, e ovunque ci si girasse c'erano tifosi algerini a salutare col dito alzato e la faccia da sonno per una notte passata a zonzo per la città. Gli unici egiziani che abbiamo incontrato erano all'interno di un ristorante (egiziano, ovviamente) ben protetti da diverse decine di poliziotti in assetto antisommossa. Il Sudan Tribune, un giornale locale in lingua inglese, addirittura ha titolato "Egypt dispatching troops to evacuate soccer fans in Sudan".
Due cose sono certe. Innanzitutto complimenti al Sudan che ha evitato che la partita diventasse una guerriglia, garantendo sicurezza e prevenendo ogni scontro (che poi vorrei dire...35.000 tifosi e 15.000 poliziotti...). E poi dico, ma hanno già problemi che bastano per 2 milleni qui in Sudan, ma sta partita non la potevano fare su un isoletta del Pacifico?
(nel video fate caso al pubblico...e alla polizia a bordo campo!!)
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