E così capita che per giorni cerchi il Natale senza trovarlo, sentendoti orfano di sensazioni, colori, suoni, odori, sapori e facce che per 27 anni non sono mai mancati una volta. Capita che ti aggrappi a ogni singola finestrella del calendario dell’avvento e nella campanella o nella candelina che si scopre vorresti davvero sentire il tintinnio o vedere la luce calda dello stoppino che brucia. Capita che gli alberelli di plastica di 15 cm con la neve finta e una stella in cima ti rendano ancora più triste di quello che vorresti essere e che effettivamente ti trovi ad essere. Capita che le luci montate sui bamboo fuori dalle camere ti ricordino solo un lunapark di provincia e nient’altro.
E poi capita che ti svegli una mattina e improvvisamente senti il Natale che ti urla dentro, forte, assordante, pungente, e ti accorgi che se prima non lo trovavi era solo perchè cercavi nel posto o nel modo sbagliato.
Due anni fa a quest'ora scendevo un aereo a Linate che i riportava a casa dopo i primi sei mesi di missione, con la valigia piena di datteri e karkadè e la testa piena di sogni e progetti.
Ora è di nuovo la vigilia ed è di nuovo Sudan, ma la valigia è vuota, chiusa nell'armadio e io sono nella Clinica Pediatrica a Mayo, qualche km fuori Khartoum, sul bordo di un campo profughi. Dietro la sottile parete di plastica che separa l’ufficio dal corto corridoio che porta nelle due sale visita e in ward sento i primi bambini che entrano. Qualcuno piange, le mamme non parlano e le voci sono solo dello staff che è già al lavoro, le dottoresse visitano, due infermiere le aiutano e il terzo si prende cura di un paziente in ward, il farmacista prepara il suo tavolo pieno di pillole e tubetti, la laboratorista si siede davanti al microscpio, i cleaner sistemano per la giornata e fuori il rombo del generatore fa da sottofondo.
Ora, finalmente, mi sono accorto che il Natale ce l’avevo sotto gli occhi tutti i giorni, da ottobre, da quando sono arrivato in questo posto magico e magnifico. Ed ecco che oggi è diventato qualcosa di difficile da tenere dentro, è un nodo alla gola che stringe le parole e le soffoca, è occhi lucidi e contorni confusi, è pelle d’oca per qualunque pensiero. Ma è anche la bellezza dei sorrisi dati e ricevuti a chi ho attorno, che siano staff o bimbi o mamme.
Quest’anno più che mai il Natale ha a che fare con la pace. Un concetto ampio di pace, che coinvolge e ingloba tutto e tutti.
Fuori da queste quattro mura bianche purtroppo tutto è pieni di segni e conseguenze della “non-pace”. Venticinque anni di guerra civile tra nord e sud, la tragedia del darfur, le tensioni tra stati confinanti, le violenze tribali e le carestie hanno costretto la gente a scappare da casa per rifugiarsi in questo “non-luogo” a pochi km da una città che tutti i giorni ostenta una serenità che non è reale e una pace artificiale fatta di soldi e barili di petrolio. E questo non-luogo diventa tutti i giorni un ritratto reale del Natale, un presepio fatto di 300.000 o forse addirittura 500.000 persone.
Ma non si tratta solo di questo. Perchè i segni e le conseguenze dalla “non-pace” ce li ho anche addosso.
Ricordo bene una giornata che ho passato con un amico qualche mese fa, una giornata trascorsa a versare millemila parole e altrettanti bicchieri di amaro con un’etichetta che invece consigliava l’esatto opposto. E in quell’occasione particolare mi sono sentito dire che prima di tutto il resto quello che conta davvero è far pace con se stessi. Perchè è solo così che potremo prima o poi far pace anche con gli altri.
Non so a che punto sono, certo di strada ne manca ancora tanta. O forse addirittura sono ancora fermo alla linea di partenza in attesa di qualcuno o qualcosa che mi dia il via, o della forza necessaria per farlo. Ma il fatto di aver capito in che direzione andare mi da un minimo di coraggio, così come le persone che per un motivo o per l’altro, coscienti o no di farlo, mi stanno dando una mano.
Mi dispiace esser lontano a fare il Natale, ma credo sia giusto così. Non saranno d’accordo le nonne, lo so, ma sono sicuro che a casa abbiano capito.
Fin’ora ho scritto poco perchè non sapevo fin dove le dita sulla tastiera mi avrebbero condotto e ne avevo paura, perchè tante notti insonni e giornate a guardare il cielo e il Nilo portano veramente lontano coi pensieri, ma ora la testa è piena di tutto e il Natale è un’occasione buona per far uscire una piccola parte di questo tutto.
E ora credo di aver capito cosa devo cercare in questo grande caos che mi riempie la testa e lo stomaco. Certo poi bisogna anche sapere come fare a cercare, iniziare a farlo, ecc..ma pole pole si può tutto, e credo di conoscere persone abbastanza coraggiose e forti da poter testimoniare che è vero.
E poi i pensieri continuano, corrono. E intanto fuori aumentano i pianti dei bimbi, il vociare delle mamme, i rumori dello staff che come tutti i giorni si prende cura.
Io ora vado a tuffarmi nel mio Natale, fatto di caldo, bimbi, compagni di viaggio, fatto di una lingua incomprensibile ma che ora mi suona familiare, di speranza, di sogni di pace, di desiderio di carezze e di ricerca di perdono.
Salam aleikum.
Buon Natale a tutti.
Col cuore.
1 commento:
certo che ti trovi in un bel "presepe" e tu come statuina...sei un pezzo importante. Grazie di cuore per quello che hai scritto e ti auguro un b el Natale.....e salutami i tuoi Gesu Bambini
alex
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